Scuderia Savoia Cavalleria: Passione senza tempo

Intervista al Conte Andrea Boezio Bertinotti Alliata, Presidente e Fondatore

Il Conte Andrea Boezio Bertinotti Alliata è Presidente e Fondatore della Scuderia Savoia Cavalleria, associazione che tutela e promuove la bellezza delle auto d’epoca, le quali sono da sempre un simbolo anche delle Monarchie.
Oggi il collezionismo riguarda anche diverse famiglie reali, europee e soprattutto italiane. In questa intervista al Conte scopriremo meglio questa Associazione, la sua storia, e la storia personale della passione per le auto d’epoca del fondatore.

A.B.B.A.: Andrea Boezio Bertinotti Alliata

D: Com’è nata la tua passione per le auto d’epoca?

A.B.B.A: Domanda difficile! Le auto d’epoca sono letteralmente una passione. E come tutte le passioni, quella per l’arte, per le donne, per il vino, per la musica, ehm sfuggono in realtà a una logica razionale, per cui dire come, quando, e dove è un po’ come, quando e dove si innamorarono Paolo e Francesca, chi lo sa.
A me è capitato perché avevo un vicino di casa che collezionava automobili, andavo a trovarlo perché passavo del gran tempo con lui, mi insegnava il dialetto milanese, e questa cosa mi parve entusiasmante al punto da farmi digerire il fatto che mi portasse in giro con delle vecchie credenze del 1920 per andare a prendere il caffè sul lago d’orta. Da allora direi che non mi è mai passata.

In realtà le auto sono sempre state parte della mia famiglia; mio padre correva in automobile da giovane, era un corridore per la Lancia; non ha mai capito granché la mia passione per le auto d’epoca, perché secondo lui vanno molto piano, e ciò è disdicevole per un’automobile, però la sopporta cristianamente, quindi devo dire che sono stato più o meno non boicottato dalla mia famiglia.

Poi ho una passione direi fisica e carnale per le auto italiane degli anni ‘20, un po’ anche perché sono innamorato di quel periodo storico dal punto di vista artistico, dal punto di vista dell’architettura, del design, perché in quel particolare periodo abbiamo veramente sviluppato un’arte italiana che ha fatto da apri-strada e da pilota per tutta l’arte europea; e quindi ritrovare quei dettagli su un oggetto che era oscenamente costoso all’epoca, ma comunque nella disponibilità della gente, come un automobile, è per me emozionante, rivedere lo stesso design di una greca che si può trovare su palazzi dei quartieri di Roma, sul piccolo sportello della mia FIAT 503 per me è emozionante. E questo mi fa emozionare tutte le volte, nonostante mi lasci per strada.

D: Ti ricordi anche il modello della prima auto con cui facevi i giri con il tuo vicino di casa?

A.B.B.A.: Assolutamente sì! Una fiat 520 Berlina del 1928 che aveva diverse caratteristiche. La prima, che il mio vicino di casa l’acquistò direttamente dal primo proprietario, e ripeto: è una macchina del 1928. Il primo proprietario era il Conte Della Porta, di Suno, che usava l’automobile tranquillamente fino a tutti gli anni ‘60, nonostante fosse un’automobile degli anni ‘20, semplicemente perché ci si trovava gran bene, e perché i suoi cani da caccia si erano abituati all’interno della macchina, e quindi si divertivano a mordicchiare le parti, suonavano il clacson, facevano queste cose. E l’automobile è arrivata intonsa, perfettamente conservata, fino a 15 anni fa; poi, purtroppo, il mio vicino di casa è mancato, e andavamo in giro con questa solennissima automobile FIAT che aveva appunto l’apparenza di una grossa credenza lanciata su strada.

D: Facendo un salto temporale ai giorni nostri, com’è nata l’idea di Scuderia Savoia Cavalleria?

A.B.B.A.: Cercherò di farla breve, nonostante la storia sia lunga! 10/15 anni fa, in una conversazione con il Principe Vittorio Emanuele venne fuori che lui conservava ancora, nel garage della sua villa, la FIAT Topolino della Regina Maria José, che Sua Maestà La Regina usava anche in età molto tarda per girare per girare per Ginevra, e che lo stesso Vittorio Emanuele ha continuato a utilizzare in maniera più o meno assidua, ed è legatissimo a questa automobile.
Ne parlammo e gli dissi: “Ma, Altezza, perché non pensare di – che ne so – ci andiamo a fare una gita; il lago di Ginevra è tanto bello, portiamo quattro amici e andiamo a fare una gita. In realtà nacque in questo modo, in maniera piuttosto occasionale ed estemporanea; poi venne fuori che anche il Principe Emanuele Filiberto aveva delle automobili, che era appassionato, che voleva fare la Mille Miglia (cosa che poi fece), anche se, come gli rimprovero sempre, indegnamente su una Bugatti, cioè un’auto, che nonostante il cognome non è Italiana, nonostante Ettore Bugatti sia nato qua dietro – in Piazza Baiamonti – ehm, e quindi ci ritrovammo in realtà tra cinque o sei amici tutti uniti da una passione per le auto principalmente italiane, e anche uniti per tradizione familiare, per abitudine, per frequentazione, per consuetudine o per convinzione politica, legati anche dall’ideale monarchico.

Perché l’ideale monarchico ha a che fare con le auto d’epoca? Per una ragione assolutamente ovvia: nessuno possiede un’automobile d’epoca. Io non sono il proprietario delle mie macchine, io sono il custode delle mie macchine, le ho ricevute e cerco di conservarle nella migliore condizione possibile per chi verrà dopo di me. E questo è impastato di ideale monarchico, perché è la custodia di un bene che noi non possediamo, ma del quale siamo addirittura schiavi, talvolta, proprio perché la nostra vita, per quella piccola parte riguardo alle auto, è dedicata a tramandare qualcosa che ci precede e che ci seguirà. Ciò è assai monarchico, e quindi io non ritengo che possano esistere appassionati e collezionisti di qualunque cosa – dai quadri, alle automobili, ai bei libri – che non abbiano nel loro modo di vedere il mondo un ideale che sia così lontano dal nostro, una visione che sia così lontana dalla nostra, proprio perché le basi ideologiche sono esattamente le stesse

D: Siamo abituati, soprattutto in questo periodo, a prendere cose, averne tante, stancarcene a breve, e gettarle via. Il fatto che ci siano appunto persone che si pongono questo scopo di “conservarle per chi ci seguirà” è molto bello.

A.B.B.A.: Farò una brevissima divagazione su questo. Purtroppo, è una concezione che non va particolarmente di moda, ma perché viviamo in un tempo effimero, la comunicazione viene fatta via social, oggi. L’altro giorno riflettevo, e dicevo: “ma possibile che nessun politico, che nessuna persona di peso – un medico, mio collega, uno scienziato – prima di scrivere una sciocchezza su un social, non si fermi a riflettere, non ci mediti sopra, non la riveda con i suoi collaboratori. No, perché comunque ciò che serve è l’immediatezza, anche perché ciò che viene detto non dev’essere vero necessariamente anche fra due ore; e questo contrasta molto con un modo di concepire lo Stato e le Istituzioni, ma anche la cultura, che hanno bisogno di un respiro più ampio, di un respiro di anni, e questo respiro lo può dare in politica, la monarchia; in cultura una visione che trascende dalla persona, che non è altro che il custode temporaneo di un bene.

D: Abbiamo già parlato di uno degli obiettivi principali della Scuderia: che è quello di tramandare qualcosa di così speciale e così unico alle future generazioni, come può essere un’opera d’arte e di fatto anche come un’auto d’epoca. Oltre a questo, quali sono invece gli altri obiettivi che vi avevano spinto a fondare la Scuderia?

A.B.B.A.: Indubbiamente, quando uno ha la fortuna di possedere – seppur temporaneamente – qualcosa di eccezionalmente bello, ha il desiderio di condividerlo, di mostrarlo agli altri e di farlo apprezzare. Come Simone sa, io ho un grande difetto: sono estremamente facondo, tendo a parlare con chiunque, di qualunque cosa, in qualunque momento, anche nei più inopportuni; e quindi per me avere una bella automobile, con una bella storia, poter raccontare che io, per esempio, ho un’automobile che corse la Mille Miglia del 1930, e in maniera del tutto inspiegabile riuscì ad arrivare al traguardo, perché era un’automobile molto fragile, con un motore molto sofisticato, assolutamente inadatta a una gara di resistenza.

E ho raccolto tutta la storia dei vari, delle varie tappe che hanno fatto per riparare i pezzi che si rompevano via via. E poter portare fuori quella automobile, farla vedere alla gente, spiegare perché è stata costruita così; qual era la razionalità che ci stava dietro, perché è sopravvissuta e come. Perché avere un’automobile degli anni ‘20 vuole anche dire che è sopravvissuta – tanto per dire una sciocchezza – alla Seconda Guerra Mondiale e ai bombardamenti. Come ha fatto a sopravvivere? Dov’è scappata lei poveretta per mettersi in salvo dalla rovina di Milano e dei bombardamenti?

E l’unico modo per interessare la gente a queste cose è prendere le proprie automobili, portarle in pubblico, farle vedere e spiegarle. Noi abbiamo una fortuna: se uno ha un bel palazzo, deve convincere la gente a entrarci; noi invece abbiamo delle automobili, che possiamo prendere e che portiamo noi dalla gente; per fare tutto questo è necessario un minimo di coordinazione, di organizzazione, di pianificazione, e per questo è nata la Scuderia.

Primo, per spirito assolutamente goliardico per appropriarci di un nome di una nota arma di cavalleria che ci piaceva un sacco anche perché hanno la cravatta rossa e poi sono un appassionato anche di vecchie uniformi. Ma poi per darci anche una visione di programma, perché in realtà di nuovo come dicevamo prima, possedere un bene culturale, un bene storico, non è un vantaggio in sé se non se ne partecipano gli altri. L’Italia ha un patrimonio storico – come tutti sanno – assolutamente inarrivabile, tuttavia c’è una bella frase di Winkelmann, che diceva che “la barbarie non è di quei popoli che non hanno mai conosciuto la civiltà, ma è di quelli che avendola conosciuta oggi la trascurano e la lasciano negletta”, ed io sono fermamente convinto che parlasse dell’Italia. Se noi il nostro patrimonio storico – nel nostro piccolissimo le automobili – non le portiamo fuori dal garage, non motiviamo i collezionisti ad andare – che so – a Stresa, o a fare un giro da qualche parte, fermarsi in piazza e parlare con la gente, non stiamo facendo un buon servizio alla cultura. Quindi, per far questo abbiamo messo in piedi la Scuderia, perché può essere un’ottima leva: organizzare una bella gita, fare delle uscite, andare a vedere delle cose che normalmente magari non sono aperte – penso ad una delle ultime cose che abbiamo organizzato prima che, sfortunatamente, il covid ci paralizzasse, che è stata una visita a Villa Arconati, meraviglioso, abbiamo messo le auto nel parco di Villa Arconati (che tutti possono visitare) e abbiamo fatto un bell’aperitivo nella limonaia di Villa Arconati. Ecco, unire le nostre automobili con la loro storia, alla storia della Villa, vedete ad esempio la rimessa delle carrozze dove ritiravano le carrozze appunto, è un buon modo per creare un ponte tra isole di cultura che, apparentemente, avrebbero poco da dirsi l’una con l’altra. 

D: Parlando di queste iniziative per portare le auto e la bellezza tra le persone e tra quelli che appunto non conoscono questo tipo di opere, come ideate i vostri raduni, i vostri eventi, avete magari un iter da seguire? Semplicemente un giorno dite “mah, domenica andiamo a farci un giro sul lago di Garda?”, ad esempio?


A.B.B.A.: C’è questa seconda parte, sì, perché sarebbe inutile negare che c’è una vasta ala di dilettantismo, come quella di stamattina, con cui per puro caso ho tirato fuori l’automobile, ho trovato un socio e abbiamo creato un mini raduno di due auto in Largo Treves intrattenendo il pubblico che passava di lì.

Però, ad esempio, l’ide di un raduno può partire da delle vecchie guide turistiche, dei vecchi numeri della rivista della Consociazione Turistica Italiana, o da altri spunti.
Come dal fatto che un amico, ad esempio, abbia appena finito di restaurare la cascina in provincia di Alessandria, e allora lo andiamo a trovare e cerchiamo la strada più pittoresca per arrivarci. Oppure magari un po’ più filologicamente andiamo a scoprire i percorsi delle vecchie gare per automobili; proprio oggi parlavo con un amico, con il quale rimetteremo in strada – ma ne parleremo semmai diffusamente dopo – una tra le prime gare per gli automobili – allora era al maschile, perché era lo automobile, e poi fu D’Annunzio a stabilire che “l’automobile è femmina”, perché come le femmine era graziosa, lieve, ma – ahinoi – inaffidabile (lo disse D’Annunzio, mi tolgo da ogni responsabilità!) – ecco c’è questa bella gara che si svolge sul Lago Maggiore, su un percorso in realtà molto breve – 18 km che nella prima edizione furono coperti in 4 ore e mezza perché le strade sono sterrate e le macchine erano del 1904, perciò bisognava superare i carretti, evitare i polli che uscivano di corsa dalle case. Ecco, magari ritrovare un vecchio articolo su questa gara fa sì che si interessino le amministrazioni comunali (che talvolta nemmeno sapevano che di lì passava una gara nel 1904), e poi allora si va a scavare negli archivi del Comune, e si va a scoprire che, magari, il Comune di Belgirate aveva istituito una coppa per chi riusciva ad arrivare almeno fino a Belgirate; e allora il sindaco si entusiasma e va a riprendere gli articoli dell’epoca, della gazzetta del Verbano, e quindi da tutta questa cosa nasce un circolo virtuoso di riscoperta di un’identità territoriale. 

Perché le automobili hanno fatto veramente una rivoluzione, di cui spesso ci si dimentica. Fino al 1890-1900 quasi nessuno usciva dal suo Paese: tu nascevi a – cito un posto a caso in cui nessuno vorrebbe nascere, Saronno per dire – e tu rimanevi lì per tutta la tua esistenza, ma per la banale ragione che non avevi modo di uscire, perché certo c’erano i treni, ma i treni partivano da un punto ed arrivavano ad un altro e nessuno li prendeva se non aveva una buona ragione per andare dal punto A al punto B. Non c’era l’idea del turismo, di andare a fare un giro. L’idea del turismo e di andare a vedere cose nacque con l’automobile; prima, sì, ci andavano i signori con le carrozze, ma erano due per paese, il fatto che una persona qualunque potesse semplicemente andare a farsi una gita per vedere come era fatto il Mottarone da Stresa era assolutamente risibile. L’automobile invece lo rese possibile, e quindi magari riscoprendo queste vecchie gite negli album di famiglia, nei ricordi o nei racconti, è bello ripercorrere quelle strade e riscoprire che, nonostante sia passato un secolo, resta un’avventura quando stai guidando una macchina di cento anni fa, perché il fatto di arrivarci è del tutto aleatorio.

D: Si scopre anche che, magari, non tutto è cambiato: ci sono ancora gli stessi punti di riferimento, i risotranti, trattorie, qualche insegna sulla strada che è già riportata nelle guide?

A.B.B.A.: Non solo! Ci sono anche delle fotografie che magari in maniera molto commovente ritraggono vecchi casali, o caselli piuttosto che altro. A me è capitato di trovare un cartello che era già lì dagli anni ‘30. Ma io sono persino più feticista: mi sono comperato le vecchie guide Michelin dell’età della mia automobile, per vedere dove la gente poteva andare a pranzo con quella automobile, e quindi ho scoperto che nel 1962 – data dell’ultima macchina che ho colpevolmente portato a casa – era già aperto un ristorante che è in provincia di Milano, e dove mi riprometto di andare non appena sarà possibile perché voglio rifare la stessa strada, andare nello stesso ristorante e appoggiare sul tavolo la mia bellissima Guida Michelin del 1962, perché voglio tornare esattamente dove sarei potuto andare con quella automobile. Questo però è puro divertimento personale, cioè ha un che di culturale ma solo per chi lo vive e lo fa. Però è molto bello.

D: Approfondite quindi anche molto questo aspetto più filologico del possedere un oggetto, un’opera d’arte come un’auto d’epoca.
Invece gli altri collezionisti che fanno parte della Scuderia come approcciano a que,sto tipo di senso del collezionismo? 

A.B.B.A.: Direi che è curioso, perché in realtà i collezionisti di auto d’epoca sono tendenzialmente divisi in due grandi macroaree: quelli un pochino più “che se la tirano” – mettiamola così, così mi ci posso includere -, ovvero quelli che leggono i libri, si documentano, studiano, si fanno mandare le copie del certificato originale della macchina, e che hanno un rapporto più filologico con l’automobile. E poi ci sono quelli a cui piace pasticciare con i motori – e purtroppo appartengo anche a questa categoria, perché io riassumo in me tutti i difetti -, e che ha invece un approccio più rustico. Io ho un socio, che è anche un amico da sempre, da 40 anni, che parla esclusivamente dialetto milanese –  con un rotacismo inarrivabile, con una “r” arrotata che è splendida in bocca a uno che parla esclusivamente dialetto milanese – al quale una persona probabilmente incrociandolo per strada verrebbe da allungargli due euro per un caffè perché “poveretto” e invece questo ha 300 automobili d’epoca, alcune che valgono svariati milioni di euro, e che ha semplicemente accumulato nel corso della sua vita perché è un appassionato di meccanica, perché gli piacciono i bei motori e gli piace smontarli. Attenzione però, il suo approccio non è diverso dal mio, nel senso che io studio sui libri, lui, essendo un appassionato di meccanica, smonta un motore e scopre delle cose che a me, appassionato di libri, sono assolutamente precluse; per esempio: i limiti e i difetti di chi ha progettato quel motore, perché aveva sbagliato quella cosa, perché quella cosa non andava fatta così; o magari la riparazione tacconata con un pezzo di lamiera che, a tutta evidenza, proviene da un carroarmato tedesco, e quindi dev’essere stato tirato giù durante la guerra per sistemarla in qualche modo. Quindi il suo approccio è solo apparentemente più pratico, ma in realtà è tanto filologico quanto il mio.

D: Pià“empirico”, forse?

A.B.B.A.: Sì, assolutamente empirico ma assai efficace, perché poi io lo invidio profondamente, è una persona che stimo immensamente perché lui, nonostante abbia un’età veneranda – come poi Simone si incarica di farmi sapere quattro volte al giorno -, potrebbe veramente essere più di mio padre, ed ha un’antologia di ricordi immensa: è un uomo che ha corso la Mille Miglia per davvero, negli anni ‘50, è un uomo che ha conosciuto Fangio, che ha conosciuto Nuvolari, e quindi è un’enciclopedia – lui dice sempre di essere un’”enciclopedia morente” – vivente di tutto quello che dovremmo sapere. Ecco, in questo mi piace essere un collezionista, perché delle sue macchine io mi faccio raccontare tutto, perché fra 150 anni, quando lui non ci sarà più, io saprò perché quella maniglia è stata montata al contrario, perché quella volta nel 1956 ecc., ecc., ecc..

D: Quindi la passione che descrivi è molto simile a quella di chi colleziona libri antichi: il fatto di non voler comprare un libro nuovo anche se lo puoi trovare in una edizione meno costosa, ovviamente, ma alla quale manca tutto il fascino dei proprietari precedenti – le firme, le annotazioni a lato, tutte le informazioni che puoi recepire da delle note che magari il proprietario precedente o tutti quelli che l’hanno tenuto in mano hanno fatto senza pensarci e senza magari riflettere sul fatto che trecento, quattrocento anni dopo qualcuno si sarebbe messo ad analizzarle per capire che percorso ha fatto anche nell’ambito geografico e storico questo libro. Trovi corrispondenza?

A.B.B.A.: Esattamente come per i libri, per un certo periodo della mia vita io sbarcai il lunario lavorando per un editore, e proprio per i libri c’è stata una rivoluzione copernicana. Il mio editore era un editore straordinariamente colto e molto sensibile a queste cose – era Franco Maria Ricci – e faceva opere che dovevano sopravvivergli, lui diceva sempre che “la mia felicità è sapere che io morirò prima dei miei libri”. Proprio l’altro giorno in una bancarella mi è capitato di comprare, letteralmente per due lire, un bellissimo libro di Franco – colpo di fortuna assolutamente inspiegabile – che non posso regalare a nessuno per Natale, perché è Valentina di Crepax, perciò non è proprio il dono tipico che uno può fare per Natale a una vecchia zia, però nel toccare quella carta, nel percepire quell’amore che Franco metteva nello scegliere i caratteri bodoniani, piuttosto che nel vedere – permettetelo, stiamo parlando di un libro particolare – dove si apre di più, quali sono le pagine dove il precedente proprietario più si è soffermato, e scoprire in questo una sua debolezza, un suo vizio, per me è emozionante! Perché solo gli ipocriti sono privi di vizi; io ho le automobili, Simone lo sa, ho un rapporto carnale con la mia macchina (la bacio prima di uscire dal garage e le dico “ciao nani, ci vediamo domani), e quindi è così. 

D: E visto che siamo in vena di rivelazioni, per il 2021 cosa aspetta Scuderia Savoia?

A.B.B.A.: Allora, ci aspetta una cosa complicata da organizzare, estremamente laboriosa, ma molto gratificante, che tra l’altro sarebbe già dovuta essere quest’anno, ma appunto il covid ha rimandato tutto.

Ci sarà una mostra sulla Regina Margherita di Savoia, a Torino, e Torino ha la fortuna di conservare alcune delle auto della Regina Margherita, tra cui la Palombella, che era l’auto che lei utilizzava in città.

Dobbiamo restaurare un pezzo meccanico che è mancante al momento, il carburatore, e quindi abbiamo un impegno duplice: il primo è organizzare qualche manifestazione per tirar su quattro soldi per far restaurare questo carburatore, perché il Museo dell’Auto di Torino – come tutti i musei italiani – sono in profondo rosso, per dirla alla Dario Argento -, non hanno una lira che sia una da mettere su questo progetto. E poi portare la vettura della Regina Margherita alla mostra che si terrà, patrocinata dal Presidente della Repubblica. Cosa che io trovo estremamente irriverente, perché arriveremo con le bandiere sabaude che annunciano l’arrivo della vettura di Sua Maestà, e scusate se è poco. Tra l’altro sto cercando di convincere il discendente del Cavallerizzo Maggiore di Sua Maestà, che era il Marchese Solaro-Del Borgo a venire ad accompagnare l’automobile, perché allora il Marchese Solaro era l’autista della Regina Margherita; però il fatto che, appunto, il discendente guidi quell’automobile – che anche questa è inspiegabilmente sopravvissuta, perché era un’auto estremamente preziosa durante la Seconda Guerra Mondiale, perché era fatta in larga parte in alluminio, e quindi sarebbe servita per lo sforzo bellico, ma la Casa Reale decise di conservarla per la memoria della Regina.

Questo è uno dei progetti: quindi rimettere su strada l’automobile e aiutare nell’organizzazione di questa mostra. 

Il secondo, che io ho messo a punto oggi con un amico, è la riedizione di questa antichissima gara per automobili che è la Arona-Stresa-Arona – Simone ne sarà stupito perché non ne sapeva nulla. E’ una cosa che stiamo pianificando letteralmente ora, perché non sappiamo se, come, quando e dove sarà possibile farla l’anno prossimo; per adesso abbiamo in calendario settembre, sarà una gara interessante, poiché riservata ad auto costruite entro il 1925, e abbiamo già 7 macchine costruite prima del 1904 che parteciperanno, una di queste arriverà direttamente dal Museo di Beaulieu, fuori Londra.

Sono molto rari, anche se ultimamente stanno tornando un po’ di moda. C’è un famosissimo raduno d’auto d’epoca, che non è un raduno d’auto d’epoca, perché è una gara che si corre ininterrottamente dal 1904 ad oggi – solo quest’anno e durante la guerra non si è corsa – che si corre tra Londra e Brighton, ed è una gara per macchine costruite entro il 1904. Ecco, fare Londra-Brighton su una macchina del 1901 o del 1902 vuol dire avere parecchio denaro, molto spirito d’avventura, molto tempo e buone braccia per spingere, perché ci sono almeno tre colline che vanno fatte spingendo l’automobile; e quindi gli inglesi stanno rispondendo in maniera entusiastica a questa piccola riedizione che faremo della Arona-Stresa-Arona.

E mi ricollego di nuovo al discorso di Casa Reale: noi trascuriamo molto spesso ciò che diamo per scontato, per me Stresa – io sono di Borgomanero, quindi della provincia di Novara – è un posto più o meno carino, dove fanno buoni dolci che si chiamano Margheritine, e dove c’è un casello dell’autostrada. Quando io ho detto ai miei amici inglesi che facevamo la Arona-Stresa-Arona sono travegolati! Mi hanno detto: “Ah sì!? Stresa?! Che bello, che meraviglia! Sul Lago Maggiore, le Isole Borromee, la Regina Margherita che andava lì, Manzoni che passeggiava con Rosmini sul lungolago!”, e tutte queste cose che…

D: Tra l’altro, la Regina Vittoria andava in vacanza a Baveno!

A.B.B.A.: Andava in vacanza da quelle parti, esatto! Ecco, per loro è stato entusiasmante, tanto che si sta creano un grande interesse e abbiamo dovuto limitare le iscrizioni a 40 automobili, perché ne abbiamo già una ventina, e ripeto: molte di prima del 1904, poi abbiamo Bugatti del 1913, abbiamo diverse FIAT degli anni ‘10. Sarà una cosa veramente emozionante, un po’ perché riguarda automobili veramente storiche, e un po’ perché riguarda un territorio profondamente legato alla storia dei Savoia e delle Case Reali europee.

D: Allora aspettiamo l’anno prossimo per vedere un po’ cosa ci attende! E magari seguirvi anche sulla strada!

A.B.B.A.: Condivideremo un calendario, siccome sono automobili complicate da mettere in strada, e servono un po’ di mesi per recuperare quel pezzo che non funziona, allora vogliamo lanciare l’evento il più presto possibile. Ne parlavamo oggi con un amico che ci aiuta nell’organizzazione della Milano-Sanremo, che è Maurizio Gavezzali, che si occuperà di tutta la parte stampa della faccenda, che seguirà la pubblicità, e che ci permetterà di divertirci con queste automobili su questo bellissimo percorso. Sperando almeno di riuscire a partire, ecco, e questo potrebbe essere un po’ complicato, perché all’uscita di Arona c’è una bella salitina da fare, e la cosa ha già messo ansia più o meno a tutti; da Piazza del Popolo per arrivare alla statale c’è una rampetta che non è proprio gradibilissima. 

D: Passando invece all’Europa, che cosa puoi dirci dei collezionisti in ambito reale, tra le Case Reali europee, per ciò che riguarda le auto d’epoca?

A.B.B.A.: Volendo fare un facile gioco di parole potrei dire che il principe dei collezionisti europei è Michele di Kent, perché a parte avere una buona collezione di automobili sue, è un accanito appassionato di Bentley da corsa degli anni ‘20 e corre, o meglio correva – ultimamente un po’ meno perché l’età comincia a farsi sentire anche per Sua Altezza – come un disperato con delle automobili da 4 litri e mezzo con compressore che raggiungono i 200 km/h e che hanno i freni della mia bicicletta. Il Principe Michele tuttora patrocina diverse manifestazioni per auto d’epoca, tra cui un concorso d’eleganza molto interessante che, Simone mi assisterà, si tiene nel Castello di Hampton Court. E lui è il “decano dei collezionisti”.

C’è poi l’amico Leopold di Baviera, che viene quasi tutti gli anni a fare la Mille Miglia – lui è un pilota ufficiale della BMW, Scuderia Auto Storiche – e tutti gli anni, appunto, partecipa alla Mille Miglia. Una volta alla Mille Miglia venne anche il Re di Svezia, a cui tra l’altro sbagliarono il nome nella descrizione, nel senso che lo presentarono come “HM”, tenendo questo come nome di battesimo, ed io li corressi dicendo: “no, “HM” è “His Majesty” perché è il Re di Svezia, non è solo l’abbreviazione del nome!”. E però devo dire che le auto d’epoca accomunano le Case Reali; anche qui, se posso fare una deviazione di due minuti, anche grazie a Margherita di Savoia, che nel 1905, a bordo di una FIAT 28-36 HP si prese il bel gusto di fare un giro delle Case Reali europee. Stiamo parlando del 1905 e coprì più di 7’000km per farsi Parigi, Paesi Bassi, Belgio e Olanda, rientrò dalla Germania, Vienna, Liechtenstein e tornò in Italia.

La Regina Margherita fu veramente la prima “brand ambassador” delle aziende automobilistiche italiane, perché viaggiava solo con auto italiane, e voleva dimostrare a tutti quanto andassero bene, tanto che pare che l’Imperatore Francesco Giuseppe d’Austria sia salito in automobile solo due volte: una volta perché costretto, e la seconda volta per salire sulla FIAT della Regina Margherita, perché trovava galante fare una passeggiata con lei per Vienna. E questo legame con la Casa Reale e con le automobili, anche perché, diciamocelo, la Casa Reale e le automobili vivevano in condominio che si chiamava Torino, perché praticamente tutte le automobili italiane erano prodotte lì, tranne pochi illustri esempi come Isotta Fraschini e Alfa Romeo che erano Milanesi, il resto – FIAT, Lancia, le grandi marche scomparse come Itara, Storero, Chiribiri – erano tutte torinesi: la stessa Casa Reale viaggiava esclusivamente su vetture non solo italiane, ma torinesi; il Re non si sarebbe mai appoggiato su una macchina che non fosse una Stura, o una FIAT 2008, perché non concepiva nemmeno l’idea di fare qualcosa di diverso.

Quindi le Case Reali europee hanno questa passione per le automobili – italiane spesso – tranne appunto il Principe Michele di Kent che è un “Bentley boy” e ce lo facciamo andare bene così, anche perché non lo si può correggere: è il Principe Michele di Kent.

D: Parlando di eccellenze italiane, la Casa Reale è stata anche promotrice della produzione di automobili in Italia; è una cosa che oggi manca anche rispetto a quella che potrebbe essere l’eccellenza interna?

A.B.B.A.: Ricordiamo che oggi il Presidente della Repubblica, senza voler muovere critiche all’altissima carica dello Stato, si reca però il 02 di giugno all’Altare della Patria su un Audi, questo per me è una coltellata al cuore, perché non riesco a sopportare una visione del genere.

Ha in garage quella magnifica Flaminia incredibile del 1961, che, sempre per citare le Case Reali, è stata costruita in 5 esemplari per la visita della Regina Elisabetta a Roma, e la Regina Elisabetta ne rimase tanto entusiasta che uno se lo portò a Londra. Infatti, 4 sono rimasti in Italia, e uno è nelle Scuderie di Buckingham Palace.

D: Parlando di cultura italiana: l’automobile italiana in che modo è in grado di raccontare l’epoca dell’Italia a cui appartiene?

A.B.B.A.: In maniera affascinante, devo dire; citerò un aneddoto: tra i fondatori della FIAT compare un giovanissimo Giovanni Agnelli – che in realtà non era in prima fila, c’è un bel quadro dei fondatori della FIAT e Giovanni Agnelli è dietro perché era un giovane signorotto di Villar Perosa, mentre c’era il Conte Cacherano di Bricherasio che firmava, c’era tutta la buona aristocrazia torinese che fondò la FIAT. Per raccontare il clima di quell’epoca, si era in epoca di socialismo, e paradossalmente in Italia – be’, insomma paradossalmente, diciamo che è un vezzo che è rimasto – si poteva essere socialisti solo se si era aristocratici e molto ricchi, perché era concesso in quel caso, tanto che, quando fu fondata la Fabbrica Italiana Automobili Torino e l’acronimo era F.I.A.T., il Conte di Bricherasio che doveva firmare l’atto di fondazione, accettò purché si mettessero i puntini tra le lettere, perché disse che “FIAT” aveva un aspetto troppo biblico come nome per i suoi gusti. E perciò raccontano molto: raccontano ad esempio il fatto che le auto italiane sono decisamente migliori – non è un’opinione, è un fatto – delle auto francesi e delle auto tedesche, se parliamo delle auto degli anni ‘20, per una semplicissima ragione, ovvero che l’Italia è una Nazione che ha una catena montuosa come colonna vertebrale, e quindi le nostre auto devono avere migliori freni, migliore accelerazione, migliore manovrabilità rispetto ad una vettura che è pensata per andare su lunghi e retti fili che, sostanzialmente, non offrono grandi ostacoli. Si pensi anche che le grandi gare per le automobili – si cita sempre la Mille Miglia, ma esiste anche la Targa Florio, per citare una gloria della famiglia di mia madre – nacquero proprio in Italia, perché la passione degli italiani per la corsa, per l’automobile – o per il cavallo prima, per far felice Simone; la passione del cavallo poi si trasferì sull’automobile, che era il cavallo meccanico – è qualcosa che è molto connaturato allo spirito italiano: le auto sportive sono assolutamente italiane. C’è un bell’aneddoto che dice che una volta un giornalista chiese ad Enzo Ferrari quale fosse la cosa che più lo inorgoglisse della propria carriera, ed egli disse: “sa qual è la cosa più bella? che se lei chiede ad un bambino di 5 anni di disegnare una macchina, lui la fa rossa”; e questo è il modo in cui la cultura italiana, attraverso l’automobile, ha penetrato l’immaginario collettivo europeo. E in qualche modo l’ha anche forgiato: noi siamo la Nazione di Marinetti, che inneggiava all’automobile, noi siamo appunto la Nazione di D’Annunzio, che conservò per tutta la vita la sua vecchissima FIAT degli anni ‘10, fino agli anni ‘30, quando arrivava un ospite qualunque al Vittoriale, lui lo mandava a prendere con l’Isotta Fraschini perché la considerava una macchinaccia, mentre quando arrivava un ospite di riguardo usava la sua vecchia FIAT degli anni ‘10 e la guidava personalmente. Proprio perché le nostre auto sono impastate dei nostri difetti, nel senso che consumano eccessivamente, sono forse un tantinello sopra le righe quanto a linee, cromature o nichelature, però hanno anche molti pregi: sopravvivono a lungo, hanno una caparbietà meccanica che è tipica degli italiani – quella che oggi si chiama “resilienza”: la capacità di un’automobile di sopravvivere cent’anni, nonostante i suoi proprietari – e quindi ci siamo auto-influenzati, vicendevolmente influenzati, noi e il mondo automobilistico. L’autostrada del Sole ha creato una Nazione che di fatto prima non c’era: nel 1962 si unirono nord e sud quando probabilmente trovandosi in un bar un napoletano e un bolognese non si sarebbero capiti parlando; l’automobile e le autostrade riuscirono a creare una nazione vera. Noterella a margine: la prima autostrada al mondo è italiana, ed è la Milano-Laghi, inaugurata nel 1925, proprio perché avevamo questa idea di liberarci dal provincialismo, perché noi soffrivamo di questa cosa: i francesi avevano la Grand Heur, i tedeschi avevano l’esercito, gli inglesi avevano la birra tiepida, e a noi mancava qualcosa che facesse di noi una nazione vera; e per uscire dal provincialismo nulla di meglio dell’automobile, nulla di meglio della costruzione delle strade, che in fondo è un retaggio romano, e quindi fa profondamente parte del nostro DNA.

D: L’automobile ha significato per la nostra cultura e la costruzione, di fatto, non solo della cultura italiana ma di quella europea – perché oggi non si può parlare in qualche modo d’Italia senza anche pensare al suo ruolo in Europa – abbiamo notato comunque come diverse automobili facenti parte di Scuderia Savoia fanno parte anche del Patrimonio UNESCO, quindi questo che cosa significa per te e per i membri dell’Associazione?

A.B.B.A.: Ecco, questo è un aspetto interessante, perché l’approccio filologico alla conservazione, al restauro e allo studio dell’automobile ha fatto sì che alcuni nostri soci abbiano avuto il privilegio di avere le proprie auto iscritte al Patrimonio UNESCO, perché partono da un valore intrinseco, che è il valore di testimonianza dell’epoca: pensiamo per esempio che al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano – e non è così scontato – c’è un Alfa-Romeo 8c-2003; perché proprio quella? Perché secondo gli ingegneri, non italiani, ma in generale, quel motore è la cosa migliore che sia stata mai costruita dal punto di vista meccanico, per efficienza, efficacia, bilanciamento, consumi, potenza, resistenza dei metalli, qualità della fusione, dettagli di progettazione… da quel momento – e stiamo parlando del 1932 – nulla di meglio è stato fatto, quindi c’è un valore intrinseco dell’automobile italiana, e poi c’è un valore estrinseco, che è quello che fanno i collezionisti, consapevoli del fatto che quello che conserviamo non è un pezzo di ferro, ma è un portato di una sapienza che è spesso dimenticata; nel senso che per restaurare alcune parti delle mie automobili, bisogna mettersi lì con calma, guardare il pezzo, e capire come diavolo l’hanno potuto costruire questo coso, perché non abbiamo più quella bravura di fare, la manualità di costruire quell’oggetto; bisogna porsi filologicamente di fronte a questa cosa – e non dire “va be’ senti, questo non lo sappiamo fare, adattiamo qualcos’altro” -, dobbiamo capire il pregio, il difetto, il come e il perché è stato costruito così, perché probabilmente c’era una ragione che noi non capiamo, e una volta che lo fai capisci perché: perché se lo facevi in un altro modo non funzionava. Ecco, la ricerca filologica nel restauro ha fatto sì che alcune nostre auto siano state dichiarate Patrimonio UNESCO e per il valore intrinseco architettonico o ingegneristico, e per l’approccio dato nella conservazione e nel restauro. Spesso anche non riparando le cose: una delle nostre auto che è Patrimonio UNESCo è particolare perché è un’Alfa TZ-1 del 1960 che è divisa esattamente in metà, nel senso longitudinale: metà è stata restaurata, e metà no, è stata lasciata come l’hanno trovata, per far vedere la possibilità di riparare le ingiurie del tempo, senza tuttavia aggredire in maniera troppo violenta così da cancellare tutto; un po’ come un’operazione di chirurgia estetica malfatta, insomma, una cosa è sistemare giusto quelle quattro cosine in modo che quando apro lo sportello non mi cada addosso, un’altra è rifare lo sportello in vetro-resina perché così è più leggero da aprire. No: la conservazione è proprio mantenere anche il difetto, perché quel difetto mi parla di quell’epoca.

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